strato #3 – QUELLO CHE CI SIAMO DIMENTICATI
| April 17th, 2015
L’altro giorno mi è capitato di sentire la classica frase: in Italia non c’è speranza, se vuoi fare qualcosa di innovativo devi andare all’estero. Dunque, questo è vero, niente da obiettare. Il punto è che ci siamo dimenticati di una cosa importante.
Ci siamo dimenticati che quando i neolaureati, gli innovatori e le persone in gamba in generale non avevano la possibilità economica o la giusta influenza per andare a vivere all’estero , l’Italia era un posto decisamente migliore. Probabilmente loro avrebbero preferito svegliarsi nello smog di una metropoli di madrelingua inglese, ma senza volerlo hanno fatto un grosso favore a noi, loro successori: hanno discretamente riempito la penisola di cultura. Quella che la nostra generazione ha poi saccheggiato e portato in giro per il mondo.
Ecco ci siamo dimenticati che al di là delle banalità da Bel Paese, delle tradizioni che ormai sono solo l’emblema di uno zimbello mondiale (la mafia, pizza-pasta-mandolino, cose così insomma) e della classica e ormai nauseantemente decantata tradizione artistica di secoli che nessuno di noi ha mai vissuto, l’Italia è stata la culla di grandi idee utopistiche e rivoluzionarie. Certo il fatto che queste idee appartengano a gente che nel migliore dei casi ha troppi anni e poca energia per ridiffonderle e nel peggiore dei casi, beh, è sotto terra, è parecchio indicativo di quanto tumulto culturale ci sia stato negli ultimi anni. Ci siamo dimenticati dei maestri del design dei primi del novecento, dei grandi delle scuole di architettura, dei radicali degli anni sessanta. Ci siamo dimenticati di Sant’Elia, di Bugatti, di Tafuri, di Zevi, di Branzi, dei Superstudio e di BBPR, di Sottsass. Ma sapete qual è la cosa che ci siamo dimenticati davvero? Che se andiamo via tutti, nessuno potrà più raccontare tutto questo alle nuove leve. E se ci dimentichiamo il passato è molto difficile che riusciamo a costruirci un futuro.
“Se fai un buco nella roccia, uscirà l’acqua. Uscirà calma, immobile, che respira adagio dal fondo della roccia e saprai finalmente che vivi sopra la polpa di un frutto celeste. Se fai un segno nel deserto, saprai finalmente quanto sono lunghe le ombre e saprai quanti passi potrai fare e fino a dove è calata a mezzanotte la luna.”
[da Metafore di Ettore Sottsass, Skira, Milano, 2002]
Basta lamentarsi. Qualcuno inizi a fare un buco nella roccia.